Cooperativa Lazzarelle: caffè, donne e carcere. Intervista con Immacolata Carpiniello
“Eh si sembra facile fare un buon caffè”, così recitava lo slogan pubblicitario di un Carosello degli anni '60.
“Da quando abbiamo fondato la Cooperativa Lazzarelle - inizia il suo racconto Immacolata Carpiniello, CEO della Coop - nel carcere femminile di Pozzuoli (Napoli), l'istituto penitenziario femminile più grande d’Italia, mi è capitato spesso di ripetere o pensare a questo slogan”.
Lazzarelle crea opportunità
“Siamo nate nel 2010 producendo caffè artigianale nel carcere femminile di Pozzuoli, impiegando le donne che lì sono detenute. - continua Immacolata - Da subito il nostro obiettivo è stato quello di favorire processi di inclusione sociale attraverso un lavoro che valorizzi le capacità e le potenzialità di donne che, in gran parte, provengono da contesti o situazioni di marginalità economica e di vulnerabilità sociale e che messe in condizioni diverse, possono esprimere un grande potenziale di autonomia e indipendenza”.
Venivano da una consolidata esperienza nel sociale, le “donne di Lazzarelle”, ma nessuna di loro aveva mai avuto esperienza nel settore della torrefazione: una sfida nella sfida!
“Così ci siamo rivolte a maestri torrefattori (come potete immaginare vi è una forte tradizione in Campania) - prosegue la CEO - ai quali abbiamo chiesto di formarci e insegnarci a produrre una miscela di caffè secondo le tradizioni artigianali, con un ciclo di lavorazione che rispetta tempi di produzione naturali senza alterazioni, che utilizza miscele pregiate e biologiche e che punta a un prodotto di qualità a prezzi equi e accessibili”.
La sfida sul mercato
“L'inizio non è stato facile: - confida Immacolata - abbiamo scelto da subito di affrontare il mercato per essere autonome e affinché la nostra impresa fosse sostenibile senza aiuti. Nel corso dei primi dieci anni, abbiamo impiegato circa 70 donne che hanno lavorato con noi, con regolari contratti, formandole e creando loro il primo contatto con l'esterno, prima del fine pena. Abbiamo iniziato creando una miscela di pregiata arabica, poi abbiamo ampliato la linea di produzione con the e tisane, poi abbiamo anche aggiunto le cialde. Nel corso degli anni - prosegue la Carpiniello - abbiamo costruito una rete di vendita che, senza entrare nella grande distribuzione, è fondata sull'e-commerce e su 36 gruppi di acquisto e15 botteghe. Con molti sforzi, siamo riuscite a fare arrivare il nostro caffè in Europa, un nostro piccolo punto di acquisto, per esempio, è a Berlino e questo ci rende molto orgogliose! I nostri materiali sono riciclabili, acquistiamo la nostra materia prima da piccole cooperative di produttori e abbiamo costruito una solida rete di alleanze e collaborazioni. Un esempio è il nostro nuovo logo, nato dalla collaborazione con l'Accademia di Belle Arti di Napoli”.
Un passo alla volta...
“La nostra è stata una crescita graduale, fatta di inciampi, momenti critici e continue riprogrammazioni. - continua Immacolata - Oggi con soddisfazione possiamo dire che produciamo circa 50.000 confezioni di caffè l'anno, siamo capofila e partner di progetti europei di inclusione sociale e impegnate in reti per la promozione e la difesa dei diritti delle donne come il progetto sostenuto dal Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio: “Ricomincio da dentro”.
Anche noi, due anni fa, abbiamo partecipato alla selezione delle imprese ambasciatrici dell'economia civile - racconta la CEO - e alla fine abbiamo ricevuto il premio! Che è stato per noi il più bel riconoscimento del lavoro fatto in tutti questi anni e del quale noi stesse non sempre siamo consapevoli fino in fondo”.
Dal mercato alla vendita diretta
“Nel 2020, abbiamo coronato un nostro grande sogno, aprendo un bistrot nella prestigiosa Galleria Principe di Napoli. Possiamo così offrire alle nostre donne anche la possibilità di un lavoro esterno e chiudere un cerchio, producendo e vendendo al consumo diretto il nostro caffè. L’apertura del Bistrot è stata possibile grazie al sostegno della Fondazione Charlemagne e della Fondazione San Zeno. Entrambe hanno creduto nel nostro progetto e ci hanno sostenuto”.
Contro pregiudizi e stigma sociali
“Della nostra esperienza ci teniamo a evidenziare l’aspetto del doppio stigma, che pesa sulle donne recluse. Se ogni donna ha difficoltà a trovare spazio nel mercato del lavoro, questa difficoltà aumenta se ha vissuto un’esperienza detentiva, spesso non per appartenenza alla criminalità organizzata ma per la provenienza da contesti di marginalità e povertà. Delle 198 donne detenute a Pozzuoli, meno del 5% sono legate a reati di sangue o di particolare gravità sociale. Questo doppio stigma sociale porta le donne più deboli a non provare nemmeno a cercare lavoro, mentre in realtà dispongono di saperi e conoscenze che vanno valorizzati e messi a sistema. Il campo della produzione alimentare, come quello della preparazione e somministrazione di cibi, è un settore in cui è possibile valorizzare in più modi la propria esperienza familiare. Bisognerebbe avere il coraggio di investire più risorse per incentivare le assunzioni, gli strumenti ci sono, come per esempio il credito d'imposta, ma sono spesso pensati per grandi soggetti, mentre occorrerebbe pensare a strumenti adatti alle piccole imprese, così come sarebbe necessario agevolare l'accesso al credito per le imprese sociali che per stare sul mercato sostengono costi più alti delle altre. Eppure oggi, se c'è uno strumento per difendere le donne dalla violenza e da logiche patriarcali, questo è l'autonomia economica e l'indipendenza lavorativa. Una donna consapevole, autonoma, indipendente, che costruisce il proprio percorso di emancipazione e inclusione assieme ad altre donne, è la migliore tutela per se stessa e per tutte le altre”.
“Ogni volta che racconto la nostra storia - conclude Immacolata - quando qualcuno dal pubblico mi dice “non sapevo ci fosse tutto questo dietro un caffè”, ecco mi viene sempre in mente la risposta “eh si, sembra facile fare un buon caffè!”, sembra facile ma non lo è”.
E Cooperativa Lazzarelle ha provato a renderlo meno difficile e a dare opportunità a chi ne ha bisogno, per capire che vale ancora qualcosa: le donne del territorio.
A cura di Next Nuova Economia
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