di Benedetta Cosmi
Un tempo per una compagnia un luogo di ritrovo era fondamentale, e a ogni gruppo ne corrispondeva uno: sale, bar, piazzetta. Oggi, per molti, il luogo di ritrovo conta poco, non è per l’arrivo dei social o perché le routine delle persone (ma anche i luoghi stessi) sono diventate più precarie, è perché non ci sono 'appartenenze' e con essi 'i limiti delle appartenenze'. (Forse).
C'è poi un grande tema per le nostre città e il senso civico ed è filosoficamente la bellezza.
A teatro è in scena lo spettacolo «Il bar sotto il mare». Tratto dal testo di Stefano Benni.
Poi ci sono i libri, luoghi d'incontro di per sé, ma che come alcune canzoni hanno i propri all'interno. In uno di questi a Viareggio alcuni amici, più o meno quattro o cinque, si confrontano. Un po' come gli appuntamenti di Ligabue, con cui ci sembra sempre di vederci da Mario prima o poi. Quando abbiamo finito al Roxy Bar. O forse non c'incontreremo mai.
Dario Ferrari, (l'autore del libro) stranamente un nome che ancora dice poco ma per me è probabilmente il nuovo Bassani, mi fa scoprire una canzone, rileggiamo insieme il passaggio (emozionante, anche perché fa sentire a tutti la mancanza, di cosa? nel pieno delle abbondanze?).
«Presto si dovettero accendere dei falò, che faceva ancora più festa, e si cominciarono a intonare i canti di lotta. Quello che piaceva di più era una canzone partigiana che si intitolava E io ero Sandokan, che era stata scritta per un film di Scola appena uscito e da cui Gian Mario, chitarrista, era rimasto talmente folgorato da essere tornato al cinema più volte per appuntarsi accordi e testo (dove non ricordava o non riusciva a capire, aggiustava a sentimento)».
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