Giorgio aveva cambiato idea, aveva cambiato nome e lavoro, ma soprattutto, era riuscito a cambiare il destino di tante persone.
Giorgio, che presto diventerà Jorge, all’inizio, come tanti, aveva aderito anche lui al fascismo, era addirittura partito volontario in Etiopia e poi aveva combattuto con i nazionalisti al fianco di Franco, in Spagna.
Ma quando nel 1939 in Italia furono promulgate le leggi razziali, e fu siglata l’alleanza con la Germania, Giorgio capì, e da quel momento non fu più né fascista, né militare.
Nella sua nuova vita da uomo d’affari, si trovava a Budapest l’8 settembre 1943, quando decise di non aderire alla Repubblica Sociale Italiana, e per questo fu internato.
Temendo la deportazione in Germania, Giorgio riuscì a scappare, e trovò rifugio presso l’ambasciata spagnola: la sua attività militare nella guerra civile gli era valsa la riconoscenza del governo spagnolo, e così Giorgio ottenne un passaporto falso.
Da quel momento Giorgio Perlasca, imprenditore italiano ricercato, divenne Jorge Perlasca, cittadino spagnolo, relativamente al sicuro.
A quel punto poteva provare a scappare in Svizzera, ma qualcosa glielo impedì. Si rese conto che per quanto lui potesse essere al sicuro, l’Ungheria diventava ogni giorno più pericolosa per gli ebrei. Aveva visto cose che non poteva dimenticare, il dolore, la paura, la violenza. E aveva intuito che l’ambasciatore spagnolo Sanz Briz si stava dando da fare per nascondere famiglie ebree in case protette dalla extraterritorialità spagnola.
Jorge decise quindi di restare a Budapest per aiutare Sanz Briz in questa missione rischiosa e pericolosa.
Ma nel novembre 1944, l’ambasciatore spagnolo fu costretto a lasciare l’Ungheria e a chiudere l’ambasciata a Budapest. Ciò voleva dire abbandonare al loro cupo destino migliaia di persone che si erano affidate alla protezione spagnola.
Jorge Perlasca non ci pensò due volte: sebbene sarebbe potuto partire anche lui e tornare a casa da sua moglie a Trieste, decise ancora una volta di restare a Budapest.
Falsificò i documenti e si autonominò diplomatico spagnolo, anzi, funzionario in capo dell’ambasciata, l’unico con cui trattare, visto che ormai non era rimasto più nessuno. Una grande bugia per una grande impresa: salvare vite umane.
Da solo continuò a proteggere gli ebrei ungheresi, a nasconderli in case protette, a sfamarli a sue spese.
Sfidando le SS e scontrandosi direttamente con Eichmann, si recava personalmente alla stazione dove presentava finti salvacondotti per sottrarre quante più persone possibile dalla deportazione: dichiarava che erano sotto la protezione del governo spagnolo e quindi non potevano essere deportati.
Con questo stratagemma riuscì a salvare 5218 ebrei ungheresi destinati altrimenti ai campi di concentramento.
Tornato in Italia, Giorgio ha vissuto una vita tranquilla, senza raccontare a nessuno le sue gesta, fino a quando, grazie alle incessanti ricerche di alcune ebree ungheresi salvate da lui, è stato rintracciato, la sua storia resa pubblica, e lui nominato Giusto tra le nazioni, pochi anni prima della morte, avvenuta nel 1992.
A chi gli chiedeva se avesse rischiato la vita perché cristiano e credente, la sua risposta era chiarissima:
“No, l’ho fatto perché sono un uomo!”
(Su Giorgio Perlasca ci sono tantissimi libri, ma il primo a raccontare la sua storia è stato Enrico Deaglio in "La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca", Feltrinelli 1991; Perlasca stesso poi ha scritto i suoi ricordi in "L’impostore", Il Mulino 2007, ma per far conoscere la straordinaria vicenda di Giorgio Perlasca anche ai più giovani, c'è il libro delicato e commovente di Luca Cognolato e Silvia Del Francia, "L’eroe invisibile", Einaudi Ragazzi, 2014).
A cura de La Farfalla della Gentilezza
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