Joyce era solo una bambina quando nel 1924 toccò con mano la brutalità del fascismo. Suo padre fu picchiato dagli squadristi, e il fratello, ancora un ragazzino, intervenuto in sua difesa, rimase ferito. Furono costretti a lasciare Firenze per scappare in Svizzera, sperando di poter rientrare appena possibile. Ma non fu così. Joyce finì le scuole all’estero, poi l’università, e una volta sposata andò in Africa. Dove rimase scioccata dalla brutalità del colonialismo. La situazione in Italia però peggiorava e Joyce decise di aiutare il fratello nella resistenza in esilio, a Ginevra. Proprio in uno dei suoi incarichi di messaggera incontrò quello che poi diventerà il suo grande amore e secondo marito, Emilio Lussu. Si spostarono in Francia e insieme organizzarono le partenze clandestine di chi doveva lasciare l’Europa, falsificando documenti, missioni segrete, facendo da collegamento tra vari gruppi, sfuggendo ai nazisti. Poi Joyce tornò in Italia e dopo l’8 settembre iniziò la lotta partigiana, in prima linea, in missioni complesse e pericolose. E per questo otterrà anni dopo la medaglia d’argento. Ma Joyce, nonostante una vita piena come scrittrice, poetessa, traduttrice, madre, non dimenticò mai quello che aveva visto in guerra e in Africa e cercò di battersi contro ogni imperialismo e colonialismo. Joyce Salvadori Lussu è una figura importante della nostra storia, ma forse per il fatto di essere “moglie di”, non viene ricordata come invece meriterebbe. Al contrario, non si è fatto molto per proteggere la sua memoria. Anche la sua casa, che si trova a San Tommaso di Fermo nelle Marche, e che potrebbe diventare un museo, è stata messa in vendita. Ed è un vero peccato, perché una persona come Joyce Salvadori Lussu avrebbe meritato di più, e soprattutto è sempre più importante far conoscere ai più giovani la storia delle persone a cui dobbiamo oggi la nostra libertà.
a cura della farfalla della gentilezza (Su Joyce Lussu c’è il libro di Silvia Balestra, “La Sibilla, vita di Joyce Lussu”, Laterza 2022)
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