Il dubbio tiene accesi. La certezza del no tranquillizza.
Potete mettere il nome di Draghi, il nome di Mattarella.
Il no è una cosa seria e in questo paese si usa con una forma di vanità. La vanità dei no Vax, no Tav, e persino no Bis.
Il no è prezioso e va usato col giusto dosaggio.
Il bene comune sta nel dire no con fermezza inamovibile solo quando il no è qualcosa di diverso da tatticismo, pudore per il sì, desiderio iracondo.
Il no di Mattarella non era giusto. E sto per mancare di rispetto quindi ci vuole coraggio. Perché se giusto lo era no doveva restare.
Personalmente il fermento delle nomine e le attese per esse le detesto quindi sono ben felice oggi della serenità riacquisita.
Ma sarebbe stato meglio risparmiarci la sceneggiata.
I sì si sono detti spesso per inerzia, per abitudine, per opportunismo, perché così si era soliti fare, per attitudine, addirittura, c'era stata una poesia bellissima in corsa a un premio della Cisl dedicato alla poesia del lavoro sul tema del sì dell'impiegato. Magistrale, ironica, descrittiva, evocativa, ne conservo ancora un limpido ricordo.
Così come di quel magnifico esperimento di psicologia sociale che fu L'obbedienza civile, in cui Milgram dimostrò il processo umano che porta a divenire anello di un sistema disumano.
Insomma che ben venga un po' di continuità.
Per quanto possibile, dal "rito" elettorale alle porte.
Ma il no di Mattarella oggi, a riveder la Storia, non aveva senso.
Io penso che la grande donna presidente arrivi più in là e l'ho scritto.
Ovviamente una volta scritta una cosa avvia e altera i tempi, li accelera.
Ma se fossimo stati in grado di averla avuta oggi, saremmo un'Italia migliore.
Quella in cui la normalità di sì e no non vanno interpretati.
di Benedetta Cosmi
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