E poi ci sono le persone come Anna Hedvig Büll, che decidono di dedicare la loro vita al prossimo, anche se questo prossimo è molto lontano. Già, perché Anna era nata in Estonia, nel lontano 1887, quando le distanze non erano ancora abbattute dalla modernità, e le notizie viaggiavano lente.
Quando venne a sapere quello che stavano subendo gli armeni nell’Impero Ottomano (l’inizio di un vero genocidio), non riuscì a stare con le mani in mano, e nonostante le difficoltà, la lontananza, e la giovane età, nel 1911 finalmente partì per la Cilicia, in Turchia. Lei voleva aiutare i bambini, che erano i più esposti e i più indifesi in quel momento drammatico, e così si dedicò a loro nell’orfanotrofio tedesco di Marash, cittadina che nel 1915 fu teatro di sanguinosi massacri e deportazioni, o meglio vere e proprie marce della morte.
Lì Anna avrebbe dovuto solo insegnare, ma vide fiumi di lacrime, disperazione, feriti e tanti, troppi morti. E tanti, troppi bambini soli e abbandonati. Allora fece di tutto per proteggerli, e riuscì con la sua dedizione a salvare circa 2000 bambini da morte certa, tanto da far diventare Marash nota come “La città degli orfani”.
Nel 1921 Anna si recò ad Aleppo, per aiutare le centinaia di migliaia di profughi armeni che oltre ad aver perso tutto, ora si trovavano anche in balia di malattie, fame e freddo. Fu lei a organizzare non solo la creazione di due ospedali, ma anche a fondare una scuola, creò laboratori di artigianato e tessitura dei tappeti da rivendere in Europa, in modo da permettere ai profughi armeni di mantenersi. E soprattutto immaginò un primo sistema di adozione a distanza, coinvolgendo famiglie benestanti europee che ogni mese inviavano denaro per il sostentamento dei bambini.
Ma per ironia della sorte, quando dopo la Seconda Guerra mondiale agli armeni in esilio fu riconosciuto il diritto a emigrare in Unione Sovietica, e quindi finalmente si svuotò il campo profughi di Aleppo, Anna non poté partire. Perché l’Unione Sovietica non solo le negava il visto, ma non le permetteva nemmeno di rientrare in Estonia, parte dell’URSS all’epoca.
Anna divenne così lei stessa una rifugiata. Ma anche se fisicamente lontana dagli armeni e anche da casa sua, Francia e in Germania dove alla fine sarà accolta, continuò tutta la vita a pensare al popolo armeno, perché, come scrisse in una lettera: “il mio cuore è armeno”.
Un cuore grande e generoso.
La Farfalla della Gentilezza
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